Torniamo a oggi e al mio lavoro di immersione, emersione e comprensione. La prima emozione è un profondo senso di tristezza, una tristezza che va oltre il semplice esito elettorale; è come se rappresentasse la perdita di qualcosa di fondamentale: fiducia, empatia, solidarietà, perfino speranza. La mia mente razionale si chiede: “È così grave? Al primo mandato cosa è mai successo di tanto catastrofico?”, ma la tristezza è legata a un altro e diverso livello, al modello che questa presidenza mette in primo piano e sbandiera al mondo intero, di fatto autorizzandolo.
La tristezza è controbilanciata dall’intervento della mia mente razionale, che fatica a comprendere l’intensità del mio triste sgomento, ricordandomi che le piaghe del razzismo, del suprematismo, del negazionismo c’erano, ci sono e ci saranno, indipendentemente da Donald Trump. Ma – come nel consueto gioco di specchi da salone di barbiere – vi è anche una parte razionale d’accordo con la mia risposta emotiva: questa elezione è come una lente d’ingrandimento su problemi che abbiamo evitato di affrontare di proposito per troppo tempo ed è, quindi, una chiamata a guardare in faccia ciò che ci rifiutiamo di vedere.
Ma non finisce qui: a ben guardare, c’è anche un’energia più giovane, più vulnerabile che desidera manifestarsi. Un bambino dentro di me confuso e spaventato, che si chiede: “Come è possibile che così tante persone abbiano votato per qualcuno che non sembra preoccuparsi delle persone come me?”; dove “come me” significa vulnerabile, che non si riconosce nella legge del più forte, che non è di fatto minimamente presa in considerazione sul piano imperante delle performance e del “cosiddettosuccesso”. Per questa parte di me, Trump e numerosi altri leader italiani, europei ed extraeuropei rappresentano un mondo che non la proteggerà mai, che non considererà mai opportuno e meno che mai prioritario un bisogno di sicurezza, armonia, pace e amore.
Ed ecco che anche l’attivista insito in me si attiva, con una voce e una reazione arrabbiate, fattive e determinate: bisogna agire, bisogna reagire, bisogna trovare modi per combattere l’ingiustizia, per far sentire la propria voce, che certamente è quella di una grande fetta della popolazione, nonostante, evidentemente, non della maggioranza di essa. Ecco, quindi, finalmente una parte attiva dopo tre passive o analitiche, la mia parte da Radicale, che mi spinge a fare, uscire, parlare, cercare contatti, creare spazi di dialogo e comprensione, che vuole costruire, nonostante le macerie.
Mi fermo qua, perché non avverto molto altro e il compito ora è trovare e mantenere un equilibrio tra queste voci, tra queste energie, dando uno spazio a ciascuna di esse, senza farmi sopraffare. Il bambino ha bisogno di essere rassicurato, il razionale deve trovare un senso, l’emotivo ha bisogno di esprimere il suo dolore e l’attivista deve incanalare la sua energia in azioni concrete. Non c’è giusto e sbagliato, non c’è parte opportuna e parte inadatta e sconveniente, non c’è serio e ridicolo, non c’è la seria reazione da cinquantenne e la ridicola da adolescente; bensì c’è il bisogno di riconoscere e gestire il dialogo interno con accoglienza e fermezza.
Anche se può apparire eccessivo o sdolcinato, ecco che la rielezione di Trump si può tramutare in un’opportunità per riflettere su chi siamo e su come vogliamo contribuire al mondo; un’opportunità – che molti reputano giusta, altri pericolosa – di riflessione e di ri-centratura.
Quali voci senti dentro di te in questo momento?
Cosa ti spingono a guardare e fare?
Ti invito a condividerle nei commenti e a esplorare insieme il Voice Dialogue.