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Fremont

FREMONT

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Fremont non solo è un delicato film sull'immigrazione, ma anche una descrizione cinematografica di un profondo percorso trasformativo attraverso competenze di coaching avanzate.

Fremont è un film che ti consiglio caldamente; un film profondo e toccante del 2023, diretto da Babak Jalali e sceneggiato da questi e dall’italiana Carolina Cavalli.

Fremont è l’umanissimo racconto di un pezzo della vita di Donya, una giovane interprete afghana, che, dopo aver lavorato per l’esercito statunitense come traduttrice, ha colto la possibilità di rifugiarsi a Fremont, città degli Stati Uniti. Donya lavora in una fabbrica di biscotti della fortuna e, mentre cerca di ricostruirsi una vita, affronta la solitudine, il senso di spaesamento, la ricerca di un significato nella sua nuova esistenza e, non ultimi, l’insonnia e l’ostracismo di alcuni connazionali, che la tacciano di tradimento a causa delle sue trascorse collaborazioni con l’esercito nemico.

Il suo “viaggio dell’eroe” la porta ad affrontare sfide eterne come il superamento del passato, la costruzione di una nuova identità e la ricerca in sé stessa del coraggio di comunicare i propri bisogni, desideri e sentimenti, apparentemente anestetizzati, se non addirittura fonti di strazianti sensi di colpa.

In seguito al decesso di un’anziana collega addetta alla stesura e stampa dei messaggi da inserire nei biscotti, a Donya viene offerto il ruolo di quest’ultima e sarà la scrittura di uno di essi a diventare un atto simbolico di espressione personale, affermazione dei propri bisogni e manifestazione del proprio potenziale, che la porterà a riconciliarsi con sé stessa e con il mondo e ad aprirsi, finalmente, all’amore.

Parlavo di insonnia: sì, Donya non si concede il lusso di dormire, incapace di allentare almeno la notte il flusso ininterrotto di ricordi e sensi di colpa, non chetati neanche dalle conversazioni con un altro profugo afghano, suo vicino di stanza in uno di quei mille residence americani popolati da persone in difficoltà, che forse è l’unico “simile” a lei per tipo di dolore e sensibilità.

E proprio il suo vicino le cede in maniera irrituale il proprio appuntamento dallo psichiatra, a cui Donya vuole rivolgersi unicamente per ottenere la prescrizione di un sonnifero. Nel preciso momento in cui mette piede nello studio, la vita di Donya comincia a cambiare e mi colpisce il fatto che le varie critiche cinematografiche presentino il medico come una persona stramba, comica. A mio avviso, non lo è affatto! Lo psichiatra, mostra una sensibilità fuori dal comune – che lo porterà anche a commuoversi sinceramente, nascondendo le lacrime dietro la propria borsa aperta –, che gli consente di sviluppare una potente strategia di comunicazione e vicinanza con una paziente inizialmente chiusa in sé. Il medico crea uno spazio sicuro dove lei possa esplorare le proprie emozioni e riflettere sul proprio percorso di vita; un ponte, il primo ponte di Donya tra il proprio mondo interiore e il nuovo mondo esterno, tra i propri vissuti e la possibilità di cambiamento e affermazione di sé.

Lo psichiatra userà come grimaldelli proprio i messaggi dei biscotti della fortuna, affermando di aver intrapreso un progetto personale che si traduce nella stesura di tali messaggi. Ad essi, affiancherà sin da subito la lettura di stralci di “Zanna bianca”, a sua detta il suo libro preferito, perché narra di un incrocio tra cane e lupo, che, dopo essere stato a lungo feroce e distruttivo, nelle mani del nuovo padrone scopre la propria parte costruttiva ed empatica, la sua voglia di famiglia. Quali sono stati, dunque, gli strumenti del medico? Utilizzo di ciò che si ha a disposizione, costruzione di un percorso evolutivo calibrato sul mondo della paziente, lavoro di affioramento delle polarità di quest’ultima. E tante metafore, che agiscono direttamente sul subconscio di Donya, facendola interagire con la potenza e l’immediatezza del linguaggio simbolico e archetipico.

Lo psichiatra, nelle sue brevi apparizioni, padroneggia evidentemente anche competenze più elementari, come presenza, ascolto attivo e non giudicante, gestione delle resistenze, autenticità e promozione dell’autonomia, come quando invita a utilizzare proprio i biscotti della fortuna come un processo terapeutico, che consenta a Donya di dare un senso alle sue esperienze e di rielaborare il trauma.

E così, senza atti di forza e senza neanche medicine (i sonniferi infatti non hanno nessun effetto su Donya), se vogliamo senza neanche una terapia, ma solo creando un flusso carsico di consapevolezza, lo squallore, la ripetitività, l’apparente irrimediabilità della ripetizione del quotidiano si trasformano di colpo in un’opportunità di abbracciare la vita senza subirla.

GRANDE METAFORA DEL COACHING!

Una nave nel porto è al sicuro, ma le navi non servono per questo.

Messaggio del biscotto della fortuna scritto dallo psichiatra. Fremont, 2023

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Gianfranco Nocilla

Master Certified Coach MCC
Team Coach ACTC
Executive & Transition Coach
Voice Dialogue Facilitator

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