
Che disgrazia l’AI!
Un’esplorazione dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul coaching professionale, tra opportunità evolutive, rischi etici e l’irriducibile valore della relazione umana.
Come già comunicato sui social, ai primi di marzo ho conseguito l’Advanced Certification in Team Coaching rilasciata dall’International Coach Federation e oggi ho voglia di tracciare il percorso che mi ha portato sin qui e di riflettere sui motivi sottostanti.
Prima scena, 2011: ero un giovane coach professionista e mi iscrissi a una Masterclass sul Transformational Coaching tenuta da due Signore del coaching internazionale: Giovanna D’Alessio e Silvia Tassarotti. Fu una lezione coinvolgente, intensa, che ancora oggi ricordo in dettaglio, così come ricordo in dettaglio i miei sentimenti ed emozioni di quel giorno, col desiderio e la paura di lasciare tutto per vivere di coaching.
Verso la conclusione, i partecipanti più appassionati cominciarono a fare domande alle due docenti sull’evoluzione del coaching e già allora apparve chiaro che il percorso di sviluppo della consapevolezza si sarebbe dovuto espandere alle organizzazioni. (Oggi, a distanza di anni, continuerei ad allargare il sistema-obiettivo, estendendolo alle società tout court.) Bene, come è facile intuire, già in quella sede si parlò di organizzazioni come sistemi che potevano e dovevano essere aiutati a trasformarsi, rinnovarsi e potenziarsi grazie alla partnership con un Team Coach. Fine piano sequenza.
Seconda scena: torno a casa, torno a una vita professionale che, in quel periodo, era tanto dura quanto nauseante, chiudo un capitolo, ne apro un altro e, appena stabilizzatomi, comincio a studiare con ardore i testi americani più autorevoli di Team Coaching e Group Coaching, seguo nel 2014 una formazione in Team Coaching e metto in pratica l’approccio con i primi Leadership Team.
Erano anni, quelli, in cui, in Italia, il Team Coaching era misconosciuto e visto come un servizio esclusivo, di nicchia. Se da un lato ciò costituiva una diminutio, rappresentava anche un’evidente opportunità: potei venire infatti a contatto con Consigli di Amministrazione e Leadership Team di aziende molto evolute e seriamente impegnate nel proprio sviluppo.
Poi, nel 2021, dopo aver studiato a lungo il system thinking, mi formo in Systemic Team Coaching ed eccomi qua!
Parlavo, all’inizio dell’articolo, anche dei “motivi” per i quali sono Team Coach. Cosa mi appassiona di questa disciplina? In primis il concetto di pattern, la presenza di innumerevoli punti di osservazione e l’ampiezza e la profondità dell’impatto del coaching su un sistema vasto.
La stessa International Coaching Federation – nel suo documento “ICF Team Coaching Competencies: Moving Beyond One-to-One Coaching” – chiarisce che, per la sua natura e complessità, il Team Coaching richiede l’aggiunta di sub-competenze specifiche alle otto competenze-base del coaching. Perché? Perché fare coaching a un team visto come una “single entity” richiede una maturità molto spinta, per non farsi irretire dai fatti, ma puntando e restando su una visione “meta”, a favore dell’efficacia del team. Occorre infatti un’allenata sensibilità sistemica, che consenta al team coach di “captare” e riconoscere i pattern, porli senza attaccamento al team-cliente per discuterne la reale esistenza e la funzionalità e, se necessario, co-crearne di nuovi, più funzionali ed efficaci.
Il tutto mirando all’autonomia e alla sostenibilità del team, identificando e facendo emergere i conflitti, riconoscendo le dinamiche di potere interne, costruendo coesione all’interno del team e assicurando partecipazione di ciascun membro e, ancora, spingendo a riflessioni profonde su purpose, identità e regole aggiornati e funzionali… Un’arena di una complessità esponenzialmente amplificata rispetto all’Executive Coaching one-to-one, per la quale un approccio sistemico e un significativo curriculum manageriale sono pilastri irrinunciabili.
Contattami per espormi punti di forza e limiti, sfide attuali e complessità del tuo team o della tua azienda. Sarò felice di verificare con te se il Team Coaching è lo strumento adatto al tuo contesto e ai tuoi obiettivi!
Master Certified Coach
Executive & Transition Coach
Voice Dialogue Facilitator
Un’esplorazione dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul coaching professionale, tra opportunità evolutive, rischi etici e l’irriducibile valore della relazione umana.
L’intelligenza culturale è la capacità di muoversi con consapevolezza, rispetto e apertura nei contesti ad alta diversità, integrando le intelligenze multiple in un dialogo autentico con l’altro. In un mondo interconnesso ma ancora pieno di bias e incomprensioni, essa rappresenta una competenza trasformativa, essenziale per la comunicazione, la leadership e la co-creazione di relazioni sostenibili.
“Sopravvissuto”, “tradito”, “povero”, “depresso”…. Cambiando il linguaggio e scegliendo parole di possibilità, possiamo trasformare il nostro racconto di noi stessi, liberandoci da vecchie ferite e proiettandoci verso il futuro con maggiore resilienza e creatività.
La rielezione di Trump mi ha portato a riflettere sulle voci interiori che emergono in momenti di grande impatto: emozioni, razionalità, paure e desideri di azione.
Il Voice Dialogue ci aiuta a riconoscere e integrare queste parti, trovando equilibrio e consapevolezza.
“Love is the natural result”, dice Barry Johnson, ed è ciò che accade quando abbracciamo le polarità, trasformando tensioni in sinergie e disconnessioni in collaborazione. Ogni sistema, personale o organizzativo, trova forza nell’interconnessione e unicità, e attraverso il coaching sistemico e il Voice Dialogue possiamo scoprire insieme come creare armonia e crescita.
Fremont non solo è un delicato film sull’immigrazione, ma anche una descrizione cinematografica di un profondo percorso trasformativo attraverso competenze di coaching avanzate.
La Transizione è il passaggio da uno stato all’altro, è cambiamento, trasformazione, evoluzione.
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