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QUESTIONE DI
FEELING

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Dei rapporti che si creano con i coachee ne vogliamo parlare? Intendo quella connessione sincera e duratura, che si crea talvolta tra coach e coachee al di là e oltre le sessioni e i percorsi di coaching.

Nel vasto panorama del coaching professionale, l’elemento che, a mio avviso, distingue e caratterizza un Master Coach (e qui non mi riferisco alle credenziali ICF, ma alla maturità con cui si incarna ed esplica il proprio ruolo di coach) è la capacità di andare oltre l’erogazione di sessioni e programmi, instaurando un legame autentico e profondo con i propri coachee. Questo legame può trasformarsi in una vera e propria relazione di amicizia, che supera il tempo e l’ambito professionale da cui è scaturita: a me capita di frequente ed essere informato, anche a distanza di tanti anni, di cambiamenti professionali, personali e familiari, ricevere mail e telefonate “solo” per prendere reciprocamente notizie è sempre motivo di grandi gioia ed orgoglio.

Se volessi fare l’esercizio di estrapolare le competenze ICF più strettamente connesse alla creazione di questo “livello di relazione”, commetterei un errore: ciascuna di esse, infatti, ne rappresenta un tassello imprescindibile e insostituibile. L’etica è alla base di tutto, Mantenere gli accordi significa trasmettere senso di professionalità, serietà e affidabilità, diventando modelli credibili, Coltivare presenza e sicurezza permette di edificare un ambiente che emani empatia, interesse ed esperienza. L’evocazione della consapevolezza è connessa, tra l’altro, alla sensibilità e al coraggio che il coach deve mettere in pratica, a vantaggio della qualità del rapporto col coachee. Così come la facilitazione della crescita del coachee ci conferma nel ruolo di agenti di cambiamento e di trasformazione.

Nonostante ciò, credo che il trinomio composto da ascolto, rispetto e fiducia sia molto determinante in questo contesto e non è un caso che i tre elementi appena citati siano anche i cardini principali su cui si sviluppa il concetto di “presenza” del coach. Vediamoli uno per uno:

  • per ascolto intendo la capacità e l’interesse di ascoltare il detto e il non detto, i respiri, le emozioni, le sfumature, le energie e le loro mutazioni, il linguaggio e le parole. In questo, il Voice Dialogue mi aiuta molto e sento che fa la differenza sia nelle sessioni che nelle relazioni;
  • un clima di profondo rispetto permette di valorizzare il coachee per chi è, ma anche spronarlo a esprimere nuovi aspetti del suo potenziale, nel rispetto – appunto – della sua sensibilità, della sua storia e dei suoi valori;
  • la fiducia viene così alimentata dai precedenti due punti, potenziandoli a sua volta. Senza di essa, non si creerebbe quella percezione di “spazio sicuro”, che, alla base di ogni percorso evolutivo e trasformativo, prevede necessariamente e inevitabilmente ambiti di vulnerabilità.

Quando questi tre elementi si fondono, la presenza si amplifica; si può sviluppare, in tal modo, una relazione che persiste nel tempo, in cui i coachee hanno piacere di rendere il coach parte integrante della loro storia di crescita ed evoluzione. Non è la prima volta che lo scrivo e lo dico: essere coach non è solo una professione, ma un impegno duraturo verso il benessere e la crescita degli altri.

La mia idea che i veri coach creino connessioni umane significative, che resistono alla prova del tempo, mi porta a citare l’amato Carl Gustav Jung: L’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione, entrambi ne vengono trasformati”.

Ti invito a ripensare a un rapporto professionale (con un coach, uno psicoterapeuta, un medico, un avvocato…), che è poi mutato in una piacevole relazione di amicizia.

  • Quali elementi del professionista hanno fatto sì che ciò succedesse?
  • In che modo tu vi hai contribuito?
  • Quali sensazioni ed emozioni ne trai?
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Gianfranco Nocilla

Master Certified Coach
Executive & Transition Coach
Voice Dialogue Facilitator

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