Infine, la terza scena contiene il messaggio morale, universale. Finora si è molto ballato, si è tentato di festeggiare, senza essersi resi conto che non è ancora giunto il momento dell’arcobaleno, del sereno, della colomba, della pace. Ciò che attende i tre (non tre persone, ma due esseri umani e la loro relazione) protagonisti della canzone è l’Apocalisse, la fine, il buio, il diluvio, che li purificherà. “Non c’è nessuno – uomo o donna che sia – che possa non essere travolto [dalla vita, dagli errori, dal fallimento, aggiungo io]. Ma il terzo incomodo sarà giudicato”, afferma una voce fuori campo, che sembra essere in connessione con la Bibbia di Giuditta e dell’Apocalisse. E, per la quarta volta, torna il ritornello sconsolato e doloroso: “dov’è la mia moglie-gitana stanotte?”.
Questa un’interpretazione letterale, ma la gitanità potrebbe anche legittimamente simboleggiare non un nuovo rapporto sentimentale, ma l’errare tipico dell’Uomo alla ricerca di risposte, significati, scopo. Negli anni, le domande cambiano, i percorsi stessi cambiano e due persone ieri vicine oggi si possono ritrovare lontane e sconosciute. La gitanità, letta così, rappresenterebbe la vita, complicata, a volte violenta, imprevedibile, talvolta sanguinosa, con tutte le sue esperienze, le gioie e le difficoltà, gli scatti di vitalità e lo scoramento legato al non riuscire ad accettare la realtà (l’iniziale “I’ve heard all the wild reports, they can’t be right”). Ma tant’è, e non ci sono alternative al continuare a cercare, consapevoli ormai che il diluvio e l’oscurità sono inevitabili e che l’arcobaleno e la colomba seguono il diluvio e l’oscurità, non li precedono.
Perché ricorrere alla figura di Giuditta? A mio avviso, per rappresentare iconicamente quei Sé connessi alla sensualità, alla vitalità espressa, al fascino e alla vendetta, che in talune occasioni riescono a sconfiggere la razionalità, l’ordine costituito, il nemico, concetti rappresentati qui e spesso anche archetipicamente dal maschile. Mentre l’io narrante nelle prime due strofe resta ancorato a dei Sé logici, razionali, critici, per poi transustanziarsi in un’energia e una voce ieratiche e fuori dal tempo. Il dialogo o lotta tra queste polarità sono ben rappresentati nella scena del fantasma che balla sul tavolo del bar: il fantasma, seppur criticato e non credibile agli occhi di Cohen, ha ancora il potere di “agganciarlo”, lanciandogli il bouquet e chiudendo, in tal modo, il cerchio…
Chi vince? Nessuno, ovviamente: il guadagno non può che essere un più alto livello di consapevolezza, qui rappresentato dalla saggezza dei moniti contenuti nella strofa finale. Esattamente come al termine di una seduta di Voice Dialogue, in cui si ripercorre quanto vissuto e intervistato, a favore di un “Io cosciente”, che diventa sempre più consapevole, inclusivo, equilibrato e meno reattivo.
Contattami per sapere di più sul Voice Dialogue e sul suo enorme potenziale equilibrante!